Cio aziendali & HiTech
aprile 2009
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In Italia l’Ict (information e communication technology) genererà nel corso del 2009 un business complessivo di
63,5 miliardi di euro. Una cifra di tutto rispetto, in flessione però rispetto all’anno precedente. A rivelarlo è l’ultimo rapporto Assinform che prevede un calo dell’1,3% nei prossimi 12 mesi. Ma precisa il presidente Ennio Lucarelli: «bisogna distinguere tra i due principali settori, il comparto delle telecomunicazioni rispetto a quello informatico. Le Tlc infatti, cresceranno di un modesto, ma comunque apprezzabile 0,7%. Mentre per l’It dobbiamo aspettarci una contrazione valutabile attorno al 5,9%». Alla luce di questi dati l’Ict diventerà una leva per traghettare le imprese fuori dalla crisi?
Alla domanda hanno dato risposta i Cio (Chief information officer), cioè i responsabili informatici di 70 grandi aziende italiane. Tra cui figurano Poste Italiane, Enel, Eni, Finmeccanica, Luxottica, Ferrovie dello Stato riunite a Cernobbio nella recente
Sap Executive Conference sul tema: «declino o rilancio delle aziende italiane, il ruolo dell’It». Nel corso dell’evento sono emerse due linee di intervento. Da una parte i Cio più conservatori, con strategie “difensive” mirate a contenere i costi di gestione. Per questi manager l’informatica rappresenta un capitolo di spesa, dunque una voce a bilancio suscettibile di tagli. Ecco perché le prime misure di contenimento per il 2009, prevedono la riduzione di consulenti e fornitori di servizi, nonchè la revisione dei contratti in outsourcing e il rinvio dei progetti di aggiornamento hitech.
La seconda linea di intervento è invece rivolta all’attacco. Una strategia di reazione, per superare l’empasse con investimenti e innovazione. Ma anche con proposte concrete di nuovi mercati, seguendo le indicazioni che arrivano dagli degli stessi consumatori. Un esempio viene dal settore alimentare, dove supermercati e Gdo sono in grado di valutare i cambiamenti di consumi in tempo di crisi. Ebbene spiega Augusto Abbarchi, amministratore delegato di Sap Italia: «grazie alle carte fidelity e ai nuovi strumenti software della
Business Intelligence è possibile monitorare in tempo reale gli acquisti, di conseguenza rifornire gli scaffali con i prodotti più richiesti a prezzi vantaggiosi». Questo consente alle aziende la pianificazione economica a breve termine. «Durante il rallentamento dei consumi – continua Abbarchi - è importante disporre di strumenti informatici, ad esempio software di simulazione, che adattano quotidianamente consegne e ordini, secondo le richieste degli utenti finali». Così facendo si riducono i costi dei resi e le giacenze di magazzino.
Dunque, l’Ict diventa un fattore abilitante per generare nuovo business. Come per
Poste Italiane che negli ultimi 5 anni ha investito 1,5 miliardi di euro in nuove infrastrutture telematiche e comunicazione elettronica. Per il prossimo futuro il gruppo capeggiato da Massimo Sarmi punta sulla carta multiservizi: «oltre alle operazioni telefoniche di una comune Sim, servirà per effettuare pagamenti sicuri – spiega il Cio Agostino Ragosa – ma sarà abilitata anche per servizi di ticketing, turistici e di trasporto, compresi gli accessi a luoghi pubblici come stadi». Basta pensare che ogni giorno nei 14 mila uffici postali e 5 mila nodi telematici di Poste Italiane vengono compiute 23 milioni di transazioni elettroniche.
Dal summit dei Cio è emersa un’altra considerazione. In tempi di crisi non vale più la regola secondo cui la Grande impresa risulta innovatrice, mentre Medie e Piccole vengono relegate a ruolo di inseguitrici. «In aggiunta al digital divide, si sta creando
“l’innovation divide” – afferma Giancarlo Capitani amministratore delegato di NetConsulting – un termine riferito alle aziende che creano innovazione in contrapposizione a quelle conservatrici. Questo non dipende né dal fatturato, né dal numero di addetti». Dunque non importa la quantità di infrastrutture tecnologiche presenti in azienda, ma come l’Ict viene usato per creare business, aprire nuovi sbocchi di mercato e occupazionali.