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iCub: cuccioli di robot crescono
gennaio 2012 ↓ scarica pdf archivio >>

Sul lungo tavolo del laboratorio sono disposti diversi oggetti. Delle palline colorate, una piccola costruzione di Lego, qualche pupazzetto di peluche. Ad un certo punto il ricercatore con voce ferma dice: «prendi la pallina rossa». Allora iCub, il robot umanoide di quattro anni, muove la testa e con gli occhi elettronici scruta gli oggetti davanti a lui. Poi in una frazione di secondo sposta il braccio sinistro. Con movimenti fluidi apre il palmo della mano e afferra l’oggetto giusto. Esperimento riuscito. E’ così, che giorno dopo giorno iCub impara a riconoscere le cose e l’ambiente che lo circonda. Quando la presa non riesce, il ricercatore con pazienza lo aiuta, guidandogli in modo delicato la mano. Come faremmo con un bambino. iCube percepisce il contatto con l’umano, perché ha la pelle dei polpastrelli ricoperta di sensori touch, sensibili al tatto.

Benvenuti all’IIT (Istituto italiano di tecnologia) di Genova, sulla collina di Morego. Fino al 2005 sede di un grigio palazzone della Pubblica Amministrazione. Adesso nei corridoi rimessi a nuovo, trovano posto laboratori e istituti di ricerca. Qui 600 super-esperti provenienti da 37 paesi stanno portando avanti una grande sfida, che pone l’Italia ai primi posti nel mondo: «progettare robot cognitivi». Il piccolo iCub ne è il capostipite.
Il suo papà putativo è Giorgio Metta. Un esempio di “cervelli di ritorno”. Lavorava al prestigioso Mit come esperto in robotica umanoide. Ma nel 2003, a Boston preferisce Genova e rientra. In dote porta un braccio meccatronico e una testa con visori elettronici di prima generazione. Adesso sono in bella mostra nella bacheca all’ingresso dell’Iit. A distanza di pochi anni fanno già arte dell’archeologia scientifica.

«Il progetto nasce dall’incontro tra robotica e neuroscienze – spiega - con l’obiettivo di studiare i meccanismi che regolano l’apprendimento e replicarli in un robot». Allora andiamo a scoprire come è fatto iCub (in inglese cub significa cucciolo). Iniziamo dal cervello, formato da due sistemi interagenti. Il blocco principale risiede nella testa. Si tratta della memoria (simile a quella di un Pc) e del software necessari alla comunicazione con il mondo esterno. Il resto dei programmi per riconoscere oggetti, parlare e sentire si trovano invece sul cloud. «Un potente network di computer all’interno dell’Istituto, archivia migliaia di righe di codice necessarie al “cucciolo di robot” per imparare».

Un lavoro ciclopico compiuto dai softwaristi dell’IIT. Basta pensare, che fargli prendere l’oggetto giusto sono state scritte 800 mila righe di programma, tra linguaggio C++ e istruzioni binarie (assembly). Tutto seguendo le regole dell’open software. Per consentire agli sviluppatori di altri paesi di partecipare via web al progetto. Non solo. Sul sito www.icub.org sono disponibili le specifiche tecniche con il simulatore grafico, che riproduce a video l’intero robot.

Scheletro e articolazioni formano invece quello che gli esperti chiamano “bodyware”. Le pesanti leghe metalliche dei robot tradizionali all’IIT le hanno sostituite con “smart materials”. Sono compositi in fibra e materiali polimerici di ultima generazione più leggeri e resistenti. Conferiscono all’androide una struttura armoniosa ed elastica. iCub pesa 22 chili ed è alto 104 centimetri. Le articolazioni gestite da 56 motori, simulano giunture e legamenti umani. Il risultato lo si osserva in braccia e mani, in grado di muoversi con continuità, evitando scatti. «Una progettazione che avrà ricadute nel settore medicale – dice ancora Metta – per sviluppare arti artificiali di persone normolese».

Ma iCub non resterà solo. E’ ideato per avere fratelli. Occorreranno altri cinque anni perché le capacità cognitive siano soddisfacenti. Poi i “cuccioli di robot” troveranno i primi impieghi concreti. Come ad esempio aiutare gli anziani nelle faccende domestiche. Piuttosto che intrattenere i bambini con giochi e letture. E in futuro potremo pensare ad iCub giardinieri e cuochi. «Una strategia di sviluppo simile a quanto accade ora con le App per smartphone e tablet - spiega Roberto Cingolani, direttore scientifico IIT – perché esisterà una struttura base di robot in grado di muoversi, ubbidire a ordini vocali e distinguere oggetti». Invece le istruzioni per il lavoro da compiere si scaricheranno di volta in volta dal cloud. Risparmiando memoria ed energia.

Per adesso, giorno dopo giorno, il piccolo iCub impara e fa progressi. In laboratorio sono già in fase avanzata di progettazione le gambe. Articolate e flessibili, con una camminata simile agli umani. Nulla a che vedere con i movimenti a scatti degli illustri androidi del Sol Levante. Così il cucciolo di robot che adesso gattona per questa estate camminerà. Con grande orgoglio dei sui 600 genitori.

HYQ: IL QUADRUPEDE SOCCORRITORE
Cammina, corre sulle quattro zampe e rimane in equilibrio su quelle posteriori. Ma soprattutto è dotato di grande forza. Parliamo del primo esemplare di HyQ (hydraulic qudruped), progettato nei laboratori Advanced Robotics dell’IIT. E’ il robot quadrupede con corpo in alluminio. Pesa 75 chili ed è lungo 1 metro. Ad azionare i quattro arti sono potenti motori idraulici in acciaio. Questo gli consente di spostarsi agevolmente anche su superfici accidentate. Così HyQ è tra i pochi robot a quattro zampe in grado di compiere movimenti veloci e precisi nello stesso tempo. I sensori alle estremità degli arti gli permettono di percepire sia la forza esercitata sul terreno, sia la risposta del terreno stesso. Con capacità di riconoscere l’ambiente in cui si muove, per adeguare i movimenti.

Spiega Claudio Semini, il ricercatore da cui è partito il progetto nel 2007, a seguito della sua tesi di dottorato: «potrà sostituire l’uomo in situazioni di emergenza, muovendosi in luoghi pericolosi. Ad esempio la perlustrazione di edifici crollati dopo un terremoto, il controllo di ambienti contaminati come centrali nucleari e industrie chimiche». Presto gli saranno applicati due arti superiori e come un “centauro mitologico” diventerà un valido assistente per le squadre di soccorso dei vigili del fuoco e protezione civile. Nei prossimi mesi HyQ sarà anche equipaggiato con sofisticati sensori che analizzano gli oggetti e l’ambiente circostante. Monterà sistemi laser 3D e videocamere stereo, ma anche telecamere a raggi infrarossi. Per muoversi agevolmente di notte e in ambienti fumosi.

Anche per questo progetto gli esperti dell’IIT prevedono diverse versioni. Come quella con le sole gambe posteriori, mosse da un motore a scoppio. Così, HyQ dimezzato e ridotto nel peso, da quadrupede diventerà un bipede. E riuscirà a correre. Sarà così veloce che in primavera potrà correre 3.000 metri in 8 minuti. A pochi secondi dal record mondiale degli umani.

GLI ALTRI CENTRI ITALIANI DELL’IIT
In Italia, oltre a Genova (600 addetti) l’IIT opera in network con altri centri. Impiegando altri 400 tra ricercatori e tecnici di laboratorio. Ecco in sintesi che cosa fanno in questi Labs nazionali: Torino sviluppa la futura generazione della robotica umanoide per lo spazio. Milano lavora su materiali e dispositivi nanometrici, per la conversione fotovoltaica. Nonché i marcatori molecolari con particolare focus sul cancro. Trento studia in vivo sistemi neuronali per comprendere i circuiti cerebrali a larga scala. Pisa opera sulla bio-sicurezza e costruisce componenti per fonti di energia pulita e portatile. Ma anche robot di dimensione millimetriche. Napoli sviluppa tecnologie per materiali in campo biomedico. A Lecce si studiano le interazioni biomolecolari per sviluppare nuovi materiali per le energie alternative. Roma è attiva su due progetti biomedicali: uno studia i disordini neurodegenerativi e le disfunzioni progressive del sistema nervoso, l’altro i tumori al cervello.






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