ROBOT: i 28 androidi italiani
febbraio 2014
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Corriere Economia - 10 febbraio 2014
I robot del futuro li compreremo in scatole di montaggio. Come il
Lego. E li monteremo a pezzi, secondo la funzione da svolgere. Così dalla stessa scatola potremo ottenere un robot “receptionist”, per fornire servizi informazione in luoghi pubblici. Oppure uno che si occupi di riabilitazione per l’aiuto a disabili e anziani. Fino a robot “esploratori”, da impiegare per i soccorsi durante calamità naturali. Non solo. Per ricorrere ai loro servizi, se non vogliamo montarli a pezzi, li potremo noleggiare. Come facciamo oggi con una city car, da usare a ore. E svolto il servizio il robot verrà restituito al negozio. Benvenuti nella nuova era dei «
personal-robot». Con una novità, non da poco. Sono made in Italy. Perché la progettazione e produzione sta avvenendo nei laboratori dell’Iit (Istituto italiano di tecnologia) di Genova. Che assieme a labs di Torino, Milano, Trento, Parma, Pisa, Napoli, Lecce e Roma vede impegnati 1200 tra scienziati, ricercatori e tecnici di 54 paesi. Un network di eccellenza che il mondo ci invidia.
Il capostipite della specie si chiama iCub e il prossimo settembre compirà dieci anni. Ma ha già
27 fratelli sparsi per il mondo, nati nel corso degli anni. Tre sono rimasti a Genova dove continuano a studiare migliorie. Gli altri sono distribuiti tra Cina, India, Giappone, Usa e il resto d’Europa. Tutti sono «cuccioli androidi» cioè con le sembianza umane di un bambino. Sono alti 104 centimetri e pesano 24 chili. Ma a renderli unici nel panorama mondiale della robotica, sono le capacità cognitive con cui possono operare. Sono programmati per imparare a riconoscere gli oggetti che stanno attorno. Di conseguenza possono interagire con l’ambiente circostante. Inclusi noi umani.
A ideare il primo iCub è stato
Giorgio Metta, un talento italiano. Nel 2003 lavorava al prestigioso Mit di Boston come esperto in robotica umanoide, ma decise di rientrare a Genova per portare avanti il progetto iCub. Spiega a Corriere Economia: «l’idea nasce dall’unione tra robotica e neuroscienze, con l’intento di replicare nei robot parte dei meccanismi dell’apprendimento umano». Perchè, come accade nei bambini in età evolutiva, l’apprendimento e le mansioni che possono compiere incrementano nel tempo.
iCub è un concentrato di tecnologie elettroniche e informatiche, ma anche meccaniche e di nuovi materiali. A partire dal cosiddetto “bodyware”. La struttura portante formata da scheletro e articolazioni, realizzate in fibra di carbonio e
materiali polimerici. Il risultato è un composto leggero e resistente che conferisce all’androide una struttura armoniosa, con 53 gradi di libertà. A gestire le funzioni “vitali” del robot è l’enorme potenza di calcolo. Milioni di istruzioni elementari che ogni secondo regolano ogni singolo movimento. Un insieme di microchip che operano in parallelo e forniscono coordinamento ai sensori. La maggior parte dell’intelligenza artificiale viene scaricata in tempo reale dal web.
«Grazie al collegamento wireless in alta velocità, ogni iCub preleva dal cloud le informazioni necessarie per agire – spiega
Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Iit – ecco perché, ad esempio, non ci sono limiti al numero di lingue». In questo caso la macchina si comporta come un super-iPad capace di scaricare dalla nuvola informatica il software di traduzione (translator). Questo gli conferisce la capacità di rispondere a quesiti, attingendo le risposte dagli archivi digitali online.
La famiglia di iCub a cui stanno lavorando all’Iit fa parte di un complesso ecosistema di personal-robot. Incluso
HyQ (hydraulic qudruped), un robot quadrupede con corpo in alluminio. Pesa 75 chili ed è lungo 1 metro. Ad azionare i quattro arti sono potenti motori idraulici. Questo gli consente di spostarsi agevolmente anche su superfici accidentate. Un aiuto ideale per interventi di soccorso.
Già adesso per la famiglia dei robot sono disponibili le prime applicazioni nel settore medico. Infatti la parte superiore degli arti di iCub, opportunamente modificati, viene impiegata nella
riabilitazione motoria. Lo stesso vale per gli arti inferiori, usati negli esoscheletri di persone con traumi di deambulazione. Ma è possibile quantizzare il costo di un iCub? «Per ora non sono in vendita sul mercato, però ipotizziamo una cifra attorno a 250 mila euro – conclude Cingolani – un prezzo che tiene conto del costo di materiali e assemblaggio». Cifra che diminuirà all’aumentare dei pezzi prodotti. Anche i personal-robot seguono regole di mercato.
twitter @utorelli
PER CONOSCERE LA STORIA DI iCub, LEGGETE SOTTO
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