Deserti: Tra sabbie infuocate e notti stellate
giugno 2018
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Corriere della Sera - LIBERI TUTTI - 8 giugno
Sabbia dorata e rocce bollenti di giorno. Silenzio, buio pesto e cieli stellati la notte. Benvenuti nel fantastico mondo dei deserti. Si, parliamo al plurale perché il pianeta Terra ne offre una nutrita varietà. Tra caldi e freddi occupano 50 milioni di chilometri quadrati. Circa un terzo dell’intera superficie emersa del globo. Dalle dune di sabbia del Sahara che nell’inconscio collettivo rappresenta “il Deserto”. Ma anche il pietroso Gobi in Mongolia, dove lo sguardo si perde all’infinito. E poi quelli salati come il Salar de Uyuni in Bolivia e Great Salt Lake dello Utah. Nell’elenco vanno messi anche i gelidi «deserti bianchi» di ghiaccio artici e dell’Antartide. Il fascino di sabbia e dune spazzati dal vento sono stati celebrati in pellicole famose come
Il thè nel deserto di Bernardo Bertolucci che porta i protagonisti in un avventuroso viaggio da Tangeri all’interno del Sahara. E poi in letteratura va ricordato un capolavoro come Il
Deserto dei Tartari del grande Dino Buzzati. Il cui gli immensi spazi visti dai camminamenti della fortezza Bastiani altro non sono che una rappresentazione della fuga da tempo e monotonia della civiltà. Ed è proprio questa una delle motivazioni che spinge il viaggiatore ad addentrarsi nel nulla delle lande infinite. Eccone alcuni da visitare, prima dell’arrivo dei caldi mesi estivi.
La sconfinata pianura sabbiosa del Sahara è un “grande vuoto”. La più vasta zona calda del pianeta con una superficie di 9 milioni di chilometri quadrati, di fatto trenta volte l’Italia. Una terra disabitata, quasi priva di vita, che da subito affascina il viaggiatore. L’attuale situazione politica della Libia di fatto impedisce l’accesso sicuro al Fezzan una delle zone più spettacolari. Nell’Acacus si trovano
le pitture rupestri disegnate 10 mila anni fa sulle rocce dal popolo degli “uomini blu”. Testimonianza di quando sabbia e montagne erano bagnate dai wadi. I fiumi che solcavano verdi e lussureggianti pianure popolate da animali. Una valida alternativa la offre il Marocco visitato lo scorso anno da 275 mila italiani. Diversi gli itinerari per il deserto. Da Marrakech si scede per circa 200 chilometri fino a Ouarzazate, nella valle dei fiumi Dadès e Drâa.
Siamo alla porta d’accesso del Sahara, luogo ideale per trekking ed escursioni in 4x4, con soste in campi tendati per passare la notte sotto le stelle. Alla domenica il suk offre il meglio di artigianato e cultura marocchina. Sulle bancarelle colorate trovate henné, acqua di rose, gioielli e tappeti berberi. Da visitare alla periferia della città la
Kasbah di Taourirt, costruita dalla tribù dei Glaoui, i signori dell’Atlante. Un immenso castello con torri in terra cruda e sabbia battuta, esempio di come l’uomo riesca ad adattarsi a ogni clima e ambiente. Nel cuore del deserto ai confini con l’Algeria, sul terrazzo del SaharaSky hotel trovate telescopi per osservare le stelle senza inquinamento luminoso (www.saharasky.com).
L’Oman, un paese grande come l’Italia, ma con solo 4 milioni di abitanti si sviluppa tra le coste dell’oceano indiano e zone desertiche interne. Dalla
capitale Muscat basta percorrere un centinaio di chilometri per trovarsi sulle rotte battute per due mila anni dai carovanieri della “via della seta”. Risalendo verso Misfat, vicino al confine con l’Arabia Saudita, si entra nell’incantato regno degli aflaj. E’ il sistema di irrigazione che porta acqua dalle montagne ai villaggi. In tutto il sultanato forma un’intricata rete con sei mila condotte. A progettarle nel VI secolo furono le tribù delle alture per la coltivazione di ortaggi e frutta con sistema a terrazze. Il costante mantenimento nel tempo ha consentito la nascita di verdi oasi a ridosso della zona desertica (www.omantourism.gov.om).
Jaisalmer la città di sabbia in Rajasthan ai confini occidentali India-Pakistan offre escursioni nel deserto Thar. Chiamata anche “città d’oro” perché alla sera le costruzioni in arenaria conferiscono un aspetto da fiaba dovuto al colore giallo. E’ stata nei secoli punto di transito delle vie carovaniere e ancora nelle strette stradine del suk si respira l’aria dei rumorosi caranvanserraglio. Con botteghe artigiane incavate nella roccia, gli haveli, dove si battono a mano cavigliere e bracciali in rame e argento. Nella vicina Bikaner si trova Karni Mata, unico tempio indiano dove
si venerano i topi. Migliaia e migliaia nutriti dai fedeli indù come divinità con dolci polpette di semolino.
Simpson, Victoria, Gibson e Sabbioso questi i nomi dei principali deserti dell’Australia che da soli occupano metà dell’intero territorio. Ma nelle “terra dei canguri” regnano su tutti
Alice Spring e Uluru. La prima è la città nel nulla. Un’area che gli aborigeni dei Northern Territory hanno privilegiato nei millenni per la presenza di sorgenti d’acqua. Poi sono arrivati gli inglesi e nel 1872, grazie ai cammelli importati dall’Arabia, l’hanno trasformata in avamposto della linea telegrafica. Oggi chi vuole raggiungerla dispone di comodi voli giornalieri oppure di un viaggio di un paio di giorni sull’Explorer’s Way. La striscia d’asfalto ai bordi del deserto. Senza curve per 3016 chilometri scende da Darwin ad Adelaide. Al centro Uluru, icona dell’Australia, montagna sacra degli aborigeni (www.ayersrockresort.com.au). Un gigantesco monolito di 380 metri che emerge dalla sabbia. Al sorgere del sole si tinge di rosso carminio. Uno spettacolo mozzafiato che dura poco più di un minuto. Da solo vale il lungo viaggio.
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